Montescaglioso

Arrivo a Montescaglioso a bordo di un autobus. O di una corriera, come la chiamano da queste parti.
Potevo prendere la macchina, dato che il paese dista pochi km da Matera, ma ho preferito vivere l’esperienza, calarmi nei panni di una vera e propria turista per caso. 😉
Attraversiamo la campagna lucana con i suoi dolci paesaggi collinari, le distese di ulivi e i campi dorati punteggiati da balle di fieno.
È una giornata di luglio con un cielo azzurrissimo e un’aria che si preannuncia calda già dalle prime ore del mattino.
Dalle tendine svolazzanti dei finestrini i profumi dell’estate si mescolano al canto delle cicale.
La corriera s’inerpica per le stradine polverose. Sale lungo un viale di pini che ha tutto il sapore di una gita al mare. Quand’ecco, svoltata l’ultima curva, comparire sul cucuzzolo della collina, il bianco paesino di Montescaglioso.
Ad attendermi, al capolinea, trovo Antonio, ex maestro di scuola elementare e membro fondatore della Pro-loco di Montescaglioso, che mi farà da “Cicerone” durante la mia visita in città.
Iniziamo il nostro percorso turistico dall’Affaccio del Belvedere. Qui potrete ammirare l’abbazia benedettina e la Chiesa Madre con il suo campanile di epoca barocca.
Tutt’intorno si estende il parco della Murgia Materana attraversato dal torrente Gravina. E poi appollaiati sulle colline i paesi di Matera, Ginosa, Laterza e in fondo in fondo il Santuario di Picciano, sede dei monaci benedettini-oliventani.
Sempre nelle vicinanze sorge il Convento dei padri Cappuccini, sede del Noviziato, anche questo di epoca barocca
Lasciamo la zona del Belvedere e raggiungiamo la bellissima Piazza Roma, cuore pulsante del paese. Qui si erge la colonna dedicata proprio a San Rocco, Patrono di Montescaglioso, e l’omonima chiesa.

“Nel 1857 in Basilicata vi fu un violento terremoto, precisamente nella zona tra Viggiano e il Salernitano. I Montesi, che erano già devoti a San Rocco perché li aveva salvati dalla peste del 1600, invocarono di nuovo il suo aiuto perché li proteggesse anche dal terremoto. Montescaglioso per miracolo si salvò e da allora San Rocco divenne Patrono ufficiale della città” racconta Antonio mostrandomi il grande epitaffio.
E così il 20 di Agosto si celebra la festa Patronale. Sotto un sole cocente, la statua del Santo viene portata in processione per le strade da un capannello di fedeli.

Attraversiamo Corso Repubblica, la via principale del centro storico. Anticamente questa era la strada degli “Artieri”, quella cioè degli artigiani. Oggi potrete trovare negozi, antiche botteghe di barbieri, macellerie e focaccerie.
Sono le undici del mattino. Fa tanto caldo. Propongo ad Antonio una pausa in qualche bar prima che mi sciolga completamente e mi debba raccogliere con il cucchiaino.
Ci fermiamo al Caffè Letterario. Un delizioso posticino in cui s’incontrano bar e libreria. Ideale per una colazione lenta tra un morso alla brioche e la pagina di un romanzo.

Rifocillata, riprendo in mano il mio notes e riparto alla scoperta di Montescaglioso che è davvero una chicca con i suoi vicoletti in pietra, le casette bianche e le cascate di coloratissimi fiori dai balconi.

A proposito, se cercate un posticino dove fermavi a pranzo e magari assaggiare la cucina tipica lucana (Aridaje sempre a magnà pensa questa! Direte voi… 😉 vi consiglio vivamente la Locanda dell’Abate, in largo Monterrone, 18. Praticamente in pieno centro. Una garanzia e non aggiungo altro.
Nella top-ten delle cose da visitare rientra a pieno titolo il Monastero benedettino della Santissima Concessione.

In questo edificio, risalente al 1600, vi erano recluse le figlie femmine delle famiglie nobili, non solo del paese ma di tutto il circondario, come testimoniano gli antichi blasoni sulle pareti. Si narra che il Marchese di Montescaglioso vi rinchiuse tutte e sette figlie.
Ma non finisce qui. Pare che la disciplina fosse così rigida che una suora si suicidò gettandosi in una cisterna del monastero…Poverina!

Montescaglioso era una delle contee più rinomate del sud-Italia. Tra i suoi amministratori vi furono Roberto il Guiscardo, la Contessa Emma, Tancredi D’Altavilla, giusto per fare qualche nome. Mica pizza e fichi, che credevate? 😉

Fiore all’occhiello l’Abbazia di San Michele Arcangelo, interamente costruita in pietra e risalente al secolo XI. Annessa alla struttura l’omonima chiesa con campanile di epoca normanna.
All’interno si apre un bellissimo chiostro di epoca Rinascimentale dove un tempo pregavano e lavoravano i monaci benedettino-cassinesi. Camminando sotto le volte ad arco, Antonio mi mostra i capitelli, tutti diversi tra loro, che sembrano quasi ricamati nel tufo, e il pozzo monolitico ottagonale.
“L’Osservatorio romano lo ha definito uno dei più belli d’Europa. Sulle facce in pietra vi sono scolpiti simboli paganeggianti. Come la raffigurazione di Alfa e Omega ovvero il principio e la fine della vita”, racconta con una punta di orgoglio.

Qui potrete visitare la stanza dedicata al tradizionale carnevale lucano con tanto di costumi e maschere, mentre al piano superiore troverete la ex-biblioteca dei monaci, completamente restaurata.
Se poi amate i vini, non perdetevi la Cantina dell’abate dove sono custoditi gelosamente nettari pregiati.

Uscendo dall’abbazia ci ritroviamo in Piazza del Popolo. Ammetto che questa è la parte di Montescaglioso che preferisco. Qui il tempo sembra essersi fermato. Dalla Porta Sant’Angelo si apre un spettacolo mozzafiato. Ancora protagonista la Murgia materana e poi sulla sinistra la Diga di San Giuliano e i paesi di Miglionico e Grottole.

Ultima tappa la Chiesa Madre, con l’annesso campanile, del 1700. Venne costruita sulle ex ceneri di una chiesa preesistente. Inaugurata nel 1823. All’interno sono custodite 4 tele attribuite al pittore calabrese Mattia Preti.

E qui si conclude il mio tour. Le cose da vedere, però, sono ancora tante! Se avete tempo vi segnalo anche la Chiesetta della Madonna delle Grazie, la più antica della città. Mentre salgo sulla corriera che mi riporterà a casa, rivivo, con la mente, i momenti più belli di questa mia gita a Montescaglioso che racconta di anziani sorridenti seduti sulle panchine, all’ombra di un grande albero, di ragazzini che sfrecciavano in bicicletta per le vie del paese, di massaie, con il grembiule, che non volevano mai farsi fotografare perché si sentivano “scisciate” che nel loro dialetto significa “disordinate” quando invece erano bellissime, dell’odore del sugo che cuoce lentamente in pentola, di panni stesi al sole, del colore intenso dei gerani sulle bianche case, di quell’aria così pulita in cui si rincorrevano le farfalle.

VIDEO CON DRONE

ALESSANDRO LAMACCHIA

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